Scritta per chi non vuole arrendersi ma continuare ad imparare, anche se gli fa un po' paura o se non è molto convinto - di tutta sta storia del Digitale.
Mi chiamo Mario, ho 74 anni e la mia casa è a Ponticelli, la stessa frazione di Imola di Wanda. Per una vita intera, la mia strada è stata l’asfalto, i tornanti, il rombo del motore del mio camion. Ogni chilometro percorso era un pezzo di mondo che conquistavo, con una mappa di carta e il mio fiuto per le direzioni.
Sono un uomo di concretezza, di mani che stringevano il volante e di sguardi che scrutavano l'orizzonte. Il digitale? Per me era fumo. "Roba da ragazzini o da impiegati dietro una scrivania", pensavo. Ma poi, quel fumo ha iniziato a farsi nebbia, e mi sono ritrovato a navigare a vista, in un mondo che non riconoscevo più.
Conoscevo le strade d'Italia come le mie tasche. Per anni, il rombo del mio camion è stato la colonna sonora della mia libertà. Le mappe cartacee, sgualcite e piene di appunti, sono sempre state il mio navigatore fedele.
La pensione mi ha riportato a Ponticelli, vicino a Wanda - che forse conoscete - tra il profumo del caffè al bar e le partite a briscola e beccaccino. Un mondo fatto di certezze, di cose che potevo toccare e capire.
Ma da qualche tempo, un nuovo tipo di "strada" mi si è presentata davanti, una strada fatta di schermi, codici e acronimi incomprensibili. E questa, io, non sapevo proprio come affrontarla. Era un muro invisibile, ma sempre più alto, tra me e il mondo di oggi.
Il muro aveva un nome: SPID.
È iniziato tutto con la prenotazione per la revisione della patente. "Signor Rossi, deve accedere con lo SPID", mi ha detto la ragazza al CUP, con un sorriso sbrigativo. Ho provato. Da solo. Ho scaricato l'app, inserito i dati, e poi... un errore dopo l'altro. Password dimenticate, account bloccati, codici OTP che non arrivavano.
Mi sentivo un bambino alle prese con un giocattolo rotto. La frustrazione mi serrava la gola. Ho chiesto aiuto a mio nipote. "Fai tap qui, nonno, poi swipe, accetta i termini e consenti le notifiche. Fatto."
Io lo guardavo, sentendomi come un alieno. Ogni volta che mi trovavo davanti al simbolo dello SPID, sentivo il mal di testa salire. "Ma perché è così difficile? Cosa vogliono da me?", brontolavo tra me. Mi sentivo dipendente, un peso, e la mia amata indipendenza di camionista mi sembrava un ricordo lontano.
Un pomeriggio, al bar, mi sono imbattuto in Wanda. Lei, con un sorriso raggiante, mi ha raccontato del corso "Digitale Facile" in biblioteca.
"Mario, vieni anche tu! Ci sono anche io e non ti preoccupare, lì nessuno ti fa sentire stupido. Anzi, è come un gruppo di amici."
Io ero scettico, ma la curiosità, e la stanchezza di sentirmi così incapace, mi hanno spinto a provare. Sono arrivato in biblioteca. Ho trovato Wanda, Lucia, e altri volti, alcuni smarriti quanto me.
Quando il facilitatore Giulio ha detto: "Benvenuti. Qui non esistono domande stupide. La regola è una sola: si impara sbagliando insieme", ho tirato un sospiro di sollievo che quasi ha fatto volare le tende. Ero nel posto giusto. E sì, ho sbuffato, non potendo trattenermi: "A me questo SPID mi fa venire il mal di testa!"
Giulio, con una pazienza infinita, ha risposto al mio sbuffo con un sorriso: "Pensa allo SPID come a un mazzo di chiavi universale, Mario. All'inizio fa confusione, ma una volta che capisci quale chiave usare, apri tutte le porte senza più fatica."
Le parole di Giulio erano semplici, dirette, come le istruzioni che davo per caricare la merce sul camion. Non "tap", non "swipe", ma "chiavi".
Ho cominciato a vedere lo SPID sotto una nuova luce. Le lezioni si sono susseguite, e con l'aiuto di Giulio e la solidarietà di Wanda e degli altri "Super-Nonni Digitali", passo dopo passo, ho provato e riprovato.
"Ce l'ho fatta! Ho prenotato la visita!", ho esclamato un giorno, mentre il mio Fascicolo Sanitario si apriva senza intoppi. La sensazione di avercela fatta, da solo, è stata come aver conquistato una cima dopo una lunga salita.
L'entusiasmo per lo SPID sbloccato si è scontrato presto con un altro problema: le password. Io avevo decine di password.
Erano annotate su foglietti sparsi, agende vecchie, persino sul retro di buste della spesa. Una per l'email, una per il conto online, una per il sito del Comune... un vero disastro.
Ogni volta che dovevo accedere a qualcosa, passavo minuti preziosi a cercare il foglietto giusto, spesso sbagliando e finendo per bloccare l'account. Era un cassetto disordinato di memorie e cifre, un’altra fonte di stress e frustrazione.
"Ma come fate voi a ricordarvele tutte?", ho chiesto un giorno al gruppo. Wanda ha risposto: "Mario, anche io le scrivevo, ma c'è un modo migliore!"
Al corso, la facilitatrice Luana ha parlato della gestione delle password integrate nel browser. "È un primo passo, Mario," ha spiegato, "così il telefono o il computer la ricorda per te. Ma non è la soluzione più sicura, ve lo dico già."
Ho deciso di provare.
"Accetta di salvare la password?", chiedeva il browser. "Sì, sì!", rispondevo io, con un sospiro di sollievo incredibile. Non dovevo più digitare ogni volta la mia password della mail.
Sentivo una piccola vittoria, un po' di quel peso quotidiano che si alleggeriva. Ma le parole di Luana risuonavano nella mia mente: "non la soluzione più sicura".
E poi, cosa succedeva se cambiavo computer? O se il browser si bloccava? Sentivo che c'era ancora un pezzo del puzzle mancante.
Un giorno, al gruppo dei "Super-Nonni Digitali", Wanda ha proposto di parlare di password manager. "Ho scoperto Bitwarden, ragazzi. È come avere un caveau per tutte le nostre chiavi!", ha detto entusiasta. Io ero incuriosito.
Giulio, invitato per l'occasione, ha spiegato il funzionamento. "Immaginate un'unica chiave maestra che apre un forziere dove sono custodite tutte le altre password. Solo voi conoscete la chiave maestra."
All'inizio, ho temuto che fosse troppo complicato. "Ma davvero basta una sola password per aprirle tutte?", ho chiesto scettico. Ma l'idea di un unico "master password" per accedere a tutte le altre, custodite al sicuro, mi ha convinto.
Con la guida paziente di Giulio e le "dritte" di Wanda e Lucia, ho installato Bitwarden. Ho iniziato a trasferire le mie password, una per una, pulendo finalmente quel cassetto disordinato.
Preso dall'entusiasmo, durante uno dei corsi successivi, ho creato una canzone con l'intelligenza artificiale, dedicata alle password. Ho chiesto a quel coso di fare un pezzo rock pieno di energia che descrivesse il castello delle mie chiavi, il mio password manager. Forse mi ero un po' esaltato, sul momento, ma il risultato è stato sorprendente. Eccolo qui.
Sono diventato meticoloso. Ogni nuova registrazione, ogni nuova password, finiva dritta nel mio "caveau" di Bitwarden. Non dovevo più ricordarle, non dovevo più scriverle. Bastava un click. Sentivo un controllo e una sicurezza che non avevo mai provato prima nel mondo digitale.
"Ora sì che è un piacere!", mormoravo soddisfatto. Quando un amico mi ha chiesto come facevo a gestire tutte quelle password, io, con un sorriso sornione, gli ho mostrato il mio Bitwarden. "Vedi? Questo è il mio mazzo di chiavi. Ho imparato a essere un maestro, ormai."
Non era solo tecnologia, era dignità. La stessa dignità che avevo provato alla guida del mio camion, padrone della strada.
La mia nuova competenza non è passata inosservata. Un giorno, mio nipote, lo stesso che prima mi risolveva i problemi in dieci secondi, mi ha chiesto: "Nonno, ma tu come fai a ricordarti tutte quelle password?" Io ho sorriso.
"Ricordarle? Non le ricordo, le gestisco. Siediti, ti spiego io come si fa." È stato un momento di orgoglio immenso. Il nonno che insegnava al nipote, il vecchio camionista che gli mostrava una nuova strada.
Era una rivoluzione, sì, ma una rivoluzione gentile, fatta di pazienza, condivisione e quella consapevolezza che ogni chiave digitale, se ben gestita, apre un mondo.
Io, Mario, ormai un "Maestro di Chiavi" a tutti gli effetti, continuo a partecipare agli incontri dei "Super-Nonni". Sono diventato un punto di riferimento per chiunque abbia un dubbio sulle password.
La mia storia è la prova che si può sempre imparare, che l'età non è un limite e che la vera indipendenza, oggi, passa anche per il digitale. A volte, mentre bevo il caffè al bar, guardo il mio smartphone. Non è più un oggetto alieno.
È uno strumento, il mio nuovo "cruscotto", da cui posso accedere a ogni servizio, ogni informazione, ogni pezzo della mia vita. Le mie strade, ora, non sono solo quelle asfaltate, ma anche quelle digitali. E le percorro, con la stessa sicurezza di un tempo, grazie alle mie nuove chiavi.
Grazie,
Mario
Cittadino digitale per scelta.
E per la sicurezza delle mie chiavi.